Di chiacchiere in questi anni ne abbiamo fatte tante. Abbiamo esposto scarpette rosse e scritto milioni di pagine di sdegno nei confronti degli autori dei femminicidi. Da giorni si susseguono convegni che parlano di violenza nei confronti delle donne. Ma oggi siamo ancora qui a piangere un’altra ragazza uccisa per mano del suo “amore”.
Dal momento della scomparsa di Giulia Cecchettin tutta l’Italia ha seguito questa vicenda con grande partecipazione, come forse mai stato prima. Abbiamo sperato, nelle prime ore, e poi abbiamo capito. Quell’auto in fuga l’abbiamo tutti seguita con rabbia e dolore, per poi scoprire, oggi, che quella Punto ha un solo passeggero, il lui, perchè il corpo di Giulia Cecchettin è stato ritrovato nei pressi del Lago di Barcis, uccisa.
Giulia che doveva laurearsi, Giulia che aveva già organizzato la festa, Giulia che un po’ di paura l’aveva, Giulia che quella paura l’aveva sottovalutata. Giulia, Giulia, Giulia… ne abbiamo sentito parlare in ogni particolare della sua breve vita di ragazza normale, piena di sogni e di progetti.
Nella storia esistono dei momenti chiave che danno una svolta ad una criticità che sembra irrisolvibile.
Chi ha vissuto il periodo delle Brigate Rosse ricorda che fu chiaramente percepito che la liberazione del generale Dozier segnava la fine del periodo del terrore.
Chi ha vissuto l’era dei rapimenti ricorda che tutti capimmo che la liberazione di Cesare Casella, grazie anche alle azione di sua mamma Angela definita “madre coraggio”, segnava la fine di un periodo che aveva visto ben 694 persone sequestrate.
E ce ne sarebbero altri di esempi da fare.
La mia unica speranza è che la morte di Giulia Cecchettin sia questo momento di svolta, soprattutto nelle coscienze di tutti gli italiani. Certo, questa è una sfida più difficile delle altre: non si può creare un corpo speciale come furono i Nocs, non si possono fare legge sui pentiti, non si possono fare leggi sui blocchi dei beni.
Questi sono delitti che nascono da sentimenti personali, non da gruppi organizzati. Credo che in questo caso si debba agire più sulle potenziali vittime che sulle pene ai carnefici. E’ necessario intervenire anche drasticamente quando si teme che una donna rischi di diventare vittima, anche alla minima avvisaglia ed anche contro alla sua volontà. Perchè spesso le vittime sono le prime a minimizzare. Occorre che qualcuno esterno (la famiglia, i vicini, i colleghi ma anche i semplici passanti) possa segnalare anche i minimi dubbi. E che venga preso in considerazione dalle forze dell’ordine, anche in assenza di denuncia diretta.
E’ necessario inculcare nelle donne, specialmente nelle più giovani, che QUALSIASI forma di violenza, anche velata o psicologica, va considerata come un grave segno di allarme. E va allontanato l’uomo che ne è portatore.
Poi andrebbero educati gli uomini, fin da bambini, alla sconfitta sentimentale. Ma questa, forse, è la parte più difficile.
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