C’è chi della pèsca non vuol parlare, chi si ritiene superiore a discuterne, chi approccia l’argomento da psicanalista, chi da esperto del mestiere e chi, molti, da politico.
Ma comunque vada, anche chi dichiara che non vuole commentare, in realtà lo fa assumendo un ruolo di sufficienza. Perchè, inutile negarlo, la pubblicità Esselunga non è passata inosservata. Lunedì sera, al primo passaggio tv, casualmente l’ho intercettata, ed anch’io sono rimasta a guardarla per vedere come andava a finire la storia della bambina persa al supermercato.
E’ con un attimo di thrilling che ti cattura l’attenzione, poi viene tutto il resto.
Sul fenomeno dello spot di Esselunga mi sono sono intrattenuta in un lungo colloquio con Giampiero Cito, pubblicitario senese estremamente creativo, che in un attimo ha scardinato tutte le mie impressioni “di pancia” con un semplice commento: “E’ probabilmente la prima di una story telling nella quale ognuno si immedesima in un proprio vissuto e quindi dà una propria interpretazione anche ai sentimenti”.
E ancora: “Non essendo una pubblicità rivolta alla vendita di un prodotto, vuole essere una operazione di comunicazione e restyling di brand, ed Esselunga (che qualche problemuccio recentemente l’ha avuto) vuole farsi identificare nella bambina, semplice, tenera, pura”.
In effetti è inusuale che uno spot pubblicitario sia lungo ben due minuti, quando al massimo vengono utilizzati 30 secondi. E’ dal tempo delle serie di Carosello (e della pubblicità Tim con Mina prima del Festival di Sanremo) che non ne vedevamo di così lunghi. Da qui l’ipotesi che i pubblicitari di Esselunga ne abbiano preparate diverse “puntate”, probabilmente tutte a tema sociale. Staremo a vedere se è stata solo la consapevolezza di aver fatto un’opera unica dirompente o se l’operazione restyling sarà più lunga.
Di certo non è stata Esselunga la prima ad affrontare il tema delle famiglie separate. L’ha fatto Ikea già nel 2016, con il bimbo che ha due camere uguali e ancora prima, nel 2007, sempre Ikea, con la simpatica pubblicità nella quale la mamma si è dimenticata che il padre avrebbe riportato i bambini a casa. Quindi Esselunga non può vantarsi di essere stata la prima ad aver affrontato questo delicato argomento.
E qui torna a parlare “la pancia” e, nella mia interpretazione, le argomentazioni dell’esperto Giampiero Cito tornano a dissolversi. Di certo c’è che Esselunga il messaggio l’ha realizzato all’italiana: prendendo una parte. Non quella della bambina, in cui il brand si identifica e quindi tiene al centro dell’attenzione, ma quella maschile.
E’ la mamma che è seria ed indaffarata tanto da perdersi la figlia, è la mamma che si incupisce quando suona il campanello, è la mamma che fa attendere il padre in strada e risponde con un’alzata di sopracciglio quando lui saluta sorridente con la mano. E’ la mamma che resta nascosta dietro la finestra. Piccoli messaggi che passano quasi impercettibili, ma che restano nel subconscio.
Al di là della bambina, Esselunga sceglie chi è il buono e chi è il cattivo della storia. Nelle storie di Ikea non ci sono buoni e cattivi, nella storia di Esselunga si percepisce chiaramente.
Mi chiedo solo se, in un momento in cui registriamo un femminicidio al giorno, ci fosse proprio bisogno di puntare il dito ancora una volta sulle donne cattive.
E comunque quella famosa pesca non può esser passata alla cassa, in quanto non era stata pesata e prezzata…Quindi…Spot non credibile!
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