Aveva 29 anni Melania (Carmela) Rea, bellissima giovane mamma di una bimba, Vittoria, di appena 18 mesi.
E’ il 18 aprile 2011 quando, nel pomeriggio, il marito Salvatore Parolisi denuncia di non riuscire più a trovare la moglie. E’ un lunedì quando padre, madre e la bimba erano andati a fare una passeggiata a Colle San Marco, una località boschiva nei pressi di Ascoli Piceno. L’uomo racconta che la moglie si sarebbe allontanata per andare in bagno nell’unico bar della zona e sarebbe misteriosamente scomparsa.
Parolisi ha 30 anni ed è un Caporal Maggiore Capo dell’Esercito Italiano in servizio dal febbraio del 2008 presso il 235 Reggimento Addestramento Volontari “Piceno”, di stanza ad Ascoli Piceno.
Iniziano immediatamente le ricerche che non danno esisto fino al 20 aprile, quando un uomo di mezza età, con accento teramano, telefono al 113 e racconta del ritrovamento di un cadavere, mentre stava facendo una passeggiata nel bosco delle Casermette a Ripe di Civitella, in località Chiosco della Pineta.
Ad alcuni metri dal chiosco, su un tappeto di foglie e aghi di pino, il volto rivolto in alto e i piedi verso il chiosco sotto un cielo di primavera, c’è la giovane donna, seminuda, il corpetto nero (con sopra un giubbino) leggermente alzato verso il seno, ed i jeans, i collant e gli slip abbassati sotto alle ginocchia; inoltre vi erano degli evidenti “sfregi” praticati nella parte “nuda” e, in particolare, sul ventre e sulle cosce ed una siringa del tipo insulina conficcata all’altezza del cuore. Parolisi riconosce il luogo dove è stato trovato il corpo di Melania come quello dove 15 giorni prima si era appartato romanticamente con la moglie nel corso di una gita.
Successivamente, a seguito dell’autopsia, sul corpo vengono riscontrate 29 ferite profonde provocate da punta e taglio e distribuite alla regione cervicale, al tronco ed agli arti superiori.
Nonostante una serie di segnali che vorrebbero accreditare l’omicidio da parte di un maniaco, l’ipotesi viene subito scartata e si propende per una serie di depistaggi da parte del killer.
Gli investigatori, tenuto anche conto degli atteggiamenti e, soprattutto, dei comportamenti del marito nelle giornate successive al ritrovamento del cadavere, cominciano a nutrire sospetti anche su di lui e iniziano a scavare nel suo passato. Melania Rea è figlia di un militare dell’Aeronautica e sin dall’inizio era affascinata e innamorata di Salvatore a sua volta militare dell’esercito. La famiglia della donna aveva accolto il militare, peraltro di umili origini, come un ulteriore figlio.
La nascita della bimba aveva solidificato ancora di più il legame familiare. Ma un evento inizia a far incrinare la relazione: un giorno Melania riceve una chiamata da un numero sconosciuto, ma in realtà riconosce la voce del marito Salvatore che era incappato nell’errore comune di chi ha una ulteriore scheda telefonica riservata a un’altra persona.
La telefonata aveva insospettito a tal punto Melania che si era messa alla ricerca della donna a cui la scheda telefonica del marito era riservata. La donna si chiamava Ludovica aveva 26 anni ed era un’allieva del marito, la quale confermò di avere avuto una relazione con il suo istruttore.
La donna decide così di affrontare il marito che, scoperto, non nega, ma ne sminuisce l’importanza. Melania, nonostante il tradimento, decide di perdonare il marito per salvare il matrimonio. Parolisi assicura di aver troncato la relazione ma non è così. Addirittura il giorno della scomparsa della moglie aveva chiamato l’amante per dirle di cancellare i suoi contatti. Inoltre, dalle indagini emergerà che era anche in procinto di incontrare la famiglia della soldatessa per una presentazione ufficiale.
Pochi giorni prima di quel 18 aprile, dall’account fake ‘Vecio Alpino’ che usava per chattare con l’amante, Parolisi scrive: “Tu sei la cosa più importante (…) non preoccuparti i nostri accordi (riferendosi alla separazione con Melania, ndr) non vanno per le lunghe, massimo una settimana poi (Melania) dovrà sparire dalla mia vista”. Dall’altra parte la ragazza faceva pressione, lo insultava per non aver avuto il coraggio di affrontare la separazione, lo minacciava di lasciarlo se non lo avesse fatto.
La relazione extraconiugale diventa così un possibile movente e il 21 giugno Salvatore Parolisi è iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Il 19 luglio successivo Parolisi viene arrestato con l’accusa di omicidio volontario aggravato della moglie Melania Rea e rinchiuso nel carcere teramano di “Castrogno”.
L’arresto apre le porte sulle zone d’ombra della vita militare nelle caserme promiscue. Quella dove gli istruttori seducono le soldatesse, dove i commilitoni coprono le scappatelle dei militari con le mogli. Ai compagni Salvatore aveva chiesto, ventiquattro ore dopo la scomparsa della moglie, di non fare cenno alle lunghe telefonate in orario di pausa. In quella circostanza li aveva anche dissuasi dall’organizzare squadre per le ricerche di Melania.
Parolisi però inscena la parte del marito in lutto, mentre dalla ricostruzione dei fatti degli ultimi due anni emerge la figura di un uomo freddo, calcolatore, completamente estraneo al ruolo di marito e padre. Un uomo che, secondo la ricostruzione processuale, ha programmato l’omicidio della moglie per non doversene separare e perdere così i privilegi di erede e i diritti di padre.
Il 26 ottobre del 2012, il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Teramo, dopo circa tre ore di camera di consiglio, condanna all’ergastolo Salvatore Parolisi e gli commina le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale e decadenza dalla potestà genitoriale.
Secondo quanto emerso nel corso del processo l’uomo avrebbe sopraffatto una donna vulnerabile colpendola con rabbia e rancore.
Nel maggio del 2015 la Corte d’Assise d’Appello di Perugia ha portato da 30 a 20 anni di reclusione la pena.
Un ricalcolo reso necessario dal pronunciamento della Cassazione il precedente 10 febbraio, quando la Suprema Corte, pur confermando la colpevolezza dell’imputato, aveva escluso l’aggravante della crudeltà, nonostante le numerose coltellate che hanno sfigurato la giovane donna. Salvatore Parolisi si è sempre professato innocente e nel penitenziario di Torre del Gallo di Pavia dove è recluso studia Giurisprudenza.
Non può più vedere né sentire sua figlia Vittoria, di cui da tempo ha perso la patria potestà. La piccola vive con i nonni materni a Somma Vesuviana e non porta più il cognome del padre. Ha ottenuto di cancellare dalla sua carta di identità il passato, ora per tutti è Vittoria Rea.
Ma a distanza di 12 anni dal delitto Salvatore Parolisi ha potuto beneficiare di “permessi premio” ed uscire dal carcere. Ne ha approfittato per tornare subito alla ribalta delle cronache e rilasciare corpose interviste.
